IN RICORDO DELLA SERVA DI DIO SUOR CHIARA DAMATO
OFFRÌ LA VITA PER SANTIFICAZIONE DEI SACERDOTI E PER LA REDENZIONE DELL’UMANITÀ
La Comunità diocesana di Trani-Barletta-Bisceglie ha ricordato i 60 anni del beato transito di una sua figlia, la serva di Dio suor Maria Chiara di S. Teresa di Gesù Bambino, al secolo Vincenza Damato, e dà inizio alle celebrazioni centenarie della sua nascita che culmineranno nel 2009.
Nata a Barletta il 9 novembre 1909, suor Maria Chiara nel 1928,entrò in giovanissima età nel Monastero delle Clarisse di Albano Laziale,abbracciando la vita claustrale non in odio al mondo ma per il grande amore che sentiva in Cristo verso l’umanità.
Come santa Teresa di Lisieux, da lei scelta a compagna nel cammino spirituale,scoprì che come il corpo umano trova nel cuore il membro più necessario, così la Chiesa, corpo mistico di Cristo, ha un cuore bruciante d’amore, quell’amore “che spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento quest’amore, gli apostoli non avrebbero più annunciato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro
sangue” (S. Teresa di G. B., Autobiografia).
Nel nascondimento del Chiostro si pose alla sequela di Cristo povero e crocifisso, cercando di divenirne “una sua viva copia”, e questo nella fedeltà alle piccole cose di ogni giorno fatte con amore. Lavorando,amando e pregando si offrì e si consumò per la santificazione dei sacerdoti e per la redenzione dell’umanità. Così scriveva a suo fratello rogazionista, padre Gioacchino, in una lettera del 28 ottobre
1945: “Sento che per divenire un alter Christus ho bisogno di maggior forza, mi raccomandi al Signore. Ridonderà anche per tuo maggior bene. Figliuol mio, mio grande desiderio è vederti santo, veder santi tutti i Sacerdoti perché possano portare Gesù alle anime e le animea Gesù.
Egli è assetato di anime e le anime non hanno chi glielo fa conoscere per amarLo”.
Anche se si contraddistinse per l’umiltà, le sue virtù non restarono nascoste perché era la sua stessa vita a gridare. Tuttavia, emergeva in lei una forte personalità, per niente possessiva, piuttosto dolce, equilibrata, capace di trasmettere pace e sicurezza anche in chi l’avvicinava.
Riporta una sua consorella che, appena entrata in Monastero,essendo stata assalita da forti tentazioni circa lo stato di vita intrapreso, suor M. Chiara, con le sue parole suadenti, la liberò da tali sofferenze. È la stessa testimone a raccontarcelo: “Una volta in ricreazione mi diceva: ‘Piccinina, perché ti sei fatta religiosa?’; io lerisposi: ‘per farmi santa’. Essa col suo sorriso mi rispose: ‘Non basta’.
Poi mi spiegò che bisognava pensare alle anime altrui, salvarle coi nostri sacrifici, disprezzo di noi stesse, specialmente l’abnegazione e il nascondimento di noi medesime”. Il suo carattere solare e allegrola rese punto di aggregazione dell’intera Comunità: “In ricreazione ci faceva molto ridere”, afferma suor Maria Matilde Campese.
Se la sua esistenza fu tutta un dono vissuto per amore e nell’amore,suor M. Chiara manifestò le vette della carità più generosa durante la Seconda Guerra Mondiale quando il Monastero di Albano fu bersagliato dai bombardamenti sotto i quali rimasero prive di vita 18 monache.
Colpita anche lei non trascurò nulla pur di alleviare le sofferenze delle sorelle superstiti. Dimentica di sé, si privò perfino del cibo, divenendo l’immagine vivente di Gesù che ha dato se stesso come cibo perché noi avessimo la vita. Tutto ciò contribuì a indebolire la sua salute e all’età di 36 anni emersero i primi sintomi di tisi: l’offertadivenne completa.
Nel solco della tradizione cristiana e francescana,visse in perfetta letizia l’ultima
tappa della salita al Calvario. Al fratello Gioacchinopreoccupato circa ilsuo stato morale, la Serva di Dio in una lettera del 2 settembre 1946 rispondeva:
“Mio caro fratello, può non santificarsi un’anima che in tutte le ore della sua
vita mortale prende dalle mani del suo Creatore con
santa gioia e rassegnazione le croci giornaliere ora
dolorose, ora gioiose? A Sua maggior gloria, ti posso assicurare che questa santa gioia e rassegnazione, a misura che la croce si fa più pesante e dolorante, la va spargendo nella mia povera anima. Semper Deo gratias!”.
Suor M. Chiara bevve al calice amaro della Passione nella nudità completa, priva perfino del conforto delle mura monastiche e delle consorelle dalle quali, con sommo dolore, a causa della malattia fu costretta a congedarsi per raggiungere il Sanatorio di Roma prima, in seguito quello di Bari.
Il Signore la trapiantò nel “claustro” del Sanatorio perché realizzasse un’altra missione: “Era d’esempio agli altri malati degenti in ospedale - afferma un testimone - con la parola, con l’esempio, con il consiglio, confortando ed incoraggiando gli ammalati ad accettare le sofferenze come espressione della volontà di Dio”. Anche qui non interruppe mai la straordinaria unione con Dio: “Al mattino era la prima a recarsi in Cappella e la sera l’ultima a lasciare quel luogo sacro che
formava l’unica gioia dei suoi ultimi giorni”.
Cosciente che i suoi giorni terreni volgevano al tramonto, si preparò ad accogliere “sorella morte” come chi va a nozze. Il giorno prima che morisse predispose che le suore ospedaliere le cantassero l’inno delle Vergini “Jesu corona virginum” e la lode di S. Teresa di Gesù Bambino “Morir d’amore”, che aveva imparato nel fiore degli anni nella Parrocchia della Sacra Famiglia della città natale, dalle labbra del suo Padre Spirituale, don Sabino Cassatella. Ricevette il Santo Viatico e l’Unzione degli Infermi dal fratello, padre Gioacchino, e il martedì 9 marzo 1948, alle ore 13, nel giorno e nell’ora da lei predette, circondata dai suoi familiari,dalle suore che l’avevano assistita e dai ricoverati che avevano condiviso gli ultimi giorni della sua esistenza terrena, si abbandonò in un’estasi d’amore per ricevere dallo Sposo celeste lacorona di gloria.
Sac. Sabino Lattanzio
Postulatore diocesano


TRATTO DA: http://www.incomunione.it/archivio/2008/incomunione03_2008.pdf

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